Capitolo X
(trascrizione a
cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
30 marzo 1719
Una bomba
colpisce la vecchia Sagrestia del Duomo, distruggendola totalmente ed uccidendo
un soldato austriaco. Un’altra bomba esplode in aria, uccidendo con una
scheggia, sotto le mura della Cittadella, un militare che si riscaldava al
sole. Viene nominato tenente colonnello del reggimento dei Fucilieri di Savoia
il Cavalier Barolo, maggiore del reggimento Saluzzo: sostituisce il deceduto conte
di Ligneville 30
marzo. Tra l’altre bombe disparate dalli nemici spagnuoli, una pervenne sino
dentro la Sagrestia vecchia del Duomo nella Cittadella. E crepata, un pezzo di
quella - rintuzzato dalle pietre, ove diede - retornò indietro, ascendendo nel
bastione di Santa Maria, dove uccise un soldato tudesco, avendoli pria fatto
cadere dal capo e pilucca [evidentemente
- considerando il successivo uso del plurale - il manoscritto non indica per
dimenticanza qualcos’altro, oltre alla parrucca (pilucca), ndr], qual per
la veemenza saltarono fuori del bastione, correndo nel piano dalla parte di
sotto. E la suddetta Sagrestia tutta si disfece.
Altra
bomba corse più lontano per infin sotto le mura della Cittadella. E crepata in
aria, cadettero doppo nel suolo più pezzi, uno de’ quali uccise altro soldato
tudesco, ancorchè s’avesse ritrovato giacente al sole per riscaldarsi e molto
lontano da dove crepò la bomba. Ed in detto luogo giacevano molti e molti
soldati tutti in terra: e nessuno di essi fu danneggiato, con tutto che molti
pezzi avessero cascati innanzi ed in mezzo di loro.
In
questo giorno fu laureato da tenente coronello del regimento de’ focellieri di
Savoja il cavaliero Baroli, maggiore del regimento di Salluzio, in vece del fu conte di Lignavilla, da più
giorni innanzi morto in questa come si descrisse. Tolto il fuoco delli cannoni
colle bombe e mortari di pietre nelle trinciere, d’ambe le parti, in questo
giorno non seguì danno alcuno, il che si descrive per un portento non mai
seguito.
31 marzo 1719
Una barca carica
di pentole depredata da due navi inglesi. Si continua a sparare
ininterrottamente dai bastioni, con la morte di tre soldati, oltre ad altri
gravemente feriti
31 marzo. Due navi inglesi predarono una barca carica di pegnate - sopra
Caronia - che si conduceva in Palermo. Con averla condotta in questa città.
Tutti
li bastioni di questa città dispararono in questo giorno tutte le loro
artegliarie senz’intermissione di tempo per insino la sera, con tutto che quei
posti nel bastione di Santa Maria nella Cittadella da più giorni a[d]dietro non
s’avessero disparato. Come pure fu molto il fuoco nelle trinciere per le molte
scopettate col disparo di molti mortari di pietre, tanto che furono uccisi tre
soldati; e molti restarono gravemente feriti.
Due feluche, di
cui una spagnola,
s’incontrano senza attaccarsi, peraltro
comunicando amichevolmente Dal Vespro sin la sera, avendosi incontrato due
filughe nel porto di questa, una de’ Spagnuoli e l’altra che uscì da questo
Capo, senza aversi fatto tra loro danno alcuno. Discorsero familialmente
insieme le persone e nemeno si penetrò il discorso: si credette che avesse
seguito per accidente l’incontro. E conoscendosi tra loro; e forse fossero
state tutte paesane. Questo è vero che non si puotè penetrare la causa,
ancorché s’avesse con molta ansietà richiesta.
1 aprile 1719
Continuano senza
tregua i bombardamenti: cittadini sempre più intimoriti A primo aprile.
Fu così eccessivo il fuoco del cannone colle bombe e di pietre che si gettarono
d’ambe le parti, e nella notte delle scopettate sin al mattino, che non si
puoté esplicare. Poiché non si dava nemeno breve spazio di tempo che non
rimbombasse il rimbombo. Per certo si credette che avesse successo per alcun
impegno particolare de’ comandanti, gia[c]chè eccesse più dell’altri giorni.
Per onde si può congietturare il grave timore e spavento che ebbero gli poveri
abitanti di questa, non sapendo nessun di loro ove trattenersi, con badare solo
per conservarsi la vita, avendo lasciato in abbandono tutte le loro case col
mobile per essere predato da chi li piaceva.
2 aprile 1719
I Piemontesi
passano in rassegna le proprie armi e munizioni in vista della consegna del
tutto alle truppe austriache. Una bomba colpisce l’Oratorio dei Padri di San
Filippo Neri, distruggendone una stanza. Si stima che dall’inizio dell’Assedio
siano state sparate dalle truppe spagnole oltre 17.000 cannonate
A
2 aprile. In questo giorno si principiò dalli piemontesi e savojardi a fare la
rassegna di tutta la provisione di guerra, che per loro conto esisteva nella
Cittadella e Castello regio ed altri luoghi. Perloché publicamente s’asserisce
da tutti che questi fra breve faranno la consegna di tutto alli Tudeschi per
passar in Siragosa, per unirsi cogli altri loro nazionali da dove trasferirsi
in Trapani, lasciando il regno liberamente alla Maestà Cesarea e Cattolica
dell’Imperatore, come si scrisse.
In
questo giorno una bomba del campo nemico diede nell’ospitio de Padri di San
Filippo Nerio, nella chiesa di Giesù e Maria la Nuova, e disfece dell’intutto
una loro camera.
Si
raccontò publicamente, fattosi il calcolo delle cannonate disparate dalli
Spagnuoli in città dal principio della guerra sin al presente giorno, che siano
state al numero di 17 mila, anzi più.
3 aprile 1719
Molte bombe
nemiche vengono lanciate in prossimità della chiesa di S. Rocco per colpire le
truppe
di cavalleria e fanteria austriache
accampate nell’area sottostante il costone roccioso. Vengono uccisi 9 soldati
ed un tenente. A 3 aprile. Oltre le bombe disparate contro la città e suoi
bastioni e fortini, molte furono gettate vicino la chiesa di Santo Rocco e
sopra e sotto il Monte, solo per offendere le truppe così di fanteria come di
cavalleria tudesche, quali commoravano sotto detto Monte. In questo giorno
furono uccisi 9 soldati con un tenente tedesco.
4 aprile 1719
Bomba centra la
casa di Nicolò Parra al Borgo («sopra il Monte»), dimora d’un tenente
colonnello
austriaco, il quale, spaventato, riesce
a fuggire ed a mettersi in salvo, suscitando ilarità tra i civili. Uccisi altri
due soldati ed un caporale, tutti austriaci A 4 aprile. Ad hore 15, tra
l’altre bombe, una diede nella casa del signor don Nicolò Parra, posta nel
quartiero di sopra il Monte. Ed avendo crepato in una stanza dalla parte da
dietro, ove abitava un tenente colonello tudesco, fracassò dell’intutto sudetta
camera, con aver remasto due soldati ed un caporale dell’istessa nazione
abbruggiati ed uccisi ed altri feriti. Il sudetto tenente colonello, qual si
retrovava indisposto a letto, s’alzò frettoloso e discese la scala. E scalzo -
e colla sola cammisa addosso - uscì da detta casa per il timore di non perdere
la vita. Perloché non deve rassembrare strano se gli poveri cittadini ed
abitanti in questa, non esercitati in simili accidenti funestissimi, avessero
sempre stato con molto spavento e tremore. Quando quei che per molt’anni avevano
sperimentato dette bombe in altre guerre, così gagliardamente si spaventavano
con aver pratticato azzioni non condecenti né al loro offizio, né al proprio
decoro. E con tutto lo spavento diedesi motivo alli cittadini di ridere.
5 aprile 1719
Una palla di
cannone, dopo aver danneggiato un balcone della casa di Don Antonino Proto, nel
quartiere di Santa Caterina, entra nella camera ove dormivano la moglie, il
figlioletto e la sorella del Proto, fortunatamente rimasti illesi. Atra palla
di cannone colpisce la casa di Don Guglielmo Colonna, nel quartiere di Santa
Maria la Catena, e termina la propria corsa incredibilmente sotto le mura del
bastione di Santa Maria 5 aprile. All’alba, fra l’altre palle di cannoni e
bombe, una diede in un balcone della casa del signor Don Antonino Proto, nel
quartiero di Santa Caterina, con averlo tutto fracassato,tanto il ferro come la
pietra d’intaglio. Ed avendo entrato in una cameretta nella quale giaceva in
letto la signora moglie del sudetto di Proto - col pargoletto lattante e la
signora suocera Donna Vincenza, sorella del medemo, innanzi detto letto - tutte
restarono illese, con tutto che la palla s’avesse retrovato innanzi il letto ed
a’ piedi della detta sorella.
Altra
palla di cannone fracassò di tal maniera un balcone di ferro, con aver rotto
due cagnoli di pietra d’intaglio della casa del signor Don Guglielmo Colonna,
nel quartiero di Santa Maria la Catena. Che, descrivendosi, non si darebbe
credenza, poiché non si può presupponere se non s’osservava di presenza. Che
avesse rotto due cagnoli di pietra, con averne troncato tutto uno dal muro e
l’altro rotto, ha dell’incredibile. Che, doppo, avesse asceso la medema palla
più in alto, con aver pure tolto dal balcone di ferro la maggior parte, con
averla fatto correre nella strada, rassembra inverosimile. E finalmente, che la
medema palla, fatto tutto questo fracasso, corresse nel piano saltando sino
sotto le mura del bastione di Santa Maria nella Cittadella, per certo che si dà
per impossibile. E pure tutto ciò successe in detto giorno, per averlo
oculatamente osservato chi lo descrive.
Una bomba entra
in casa del maestro Domenico Piraino, dirimpetto la chiesa di Santa Caterina,
ove abitavano austriaci che vendevano carni. Altra bomba colpisce la casa di
Onofria Pineda Perdichizzi, vicino la chiesa di San Domenico. Altre ancora
esplodono altrove, danneggiando fabbricati immediatamente depredati dai soldati
austriaci Una
bomba entrò in casa di maestro Domenico Piraino, a dirimpetto della chiesa di
Santa Caterina. Ed avendo rotto un astraco ben forte, con aver fracassato tutto
il solaro, diede al fine nel pavimento, ove abitavano quantità di tudeschi che
vendevano carni. E, non avendo crepato, restarono tutti con molto orrore e
spavento pieni di calcina e pietre. Solamente uno legiermente ferito nella
faccia con una pietra. E la casa disfatta
e consumata.
Altra
bomba diede in casa della signora donna Onofria Pineda e Perdichizzi, vicino la
chiesa di San Domenico. Diede in un muro d’una stanza terrana discoperta e,
avendolo dell’intutto fracassato, si precipitò
nel suolo, nel quale entrata due palmi crepò, con aver saltato in aria tutta in
pezzi. E ciò nonostante, la detta di Pineda con la figlia e sorella, le quali
si ritrovavano dietro detto muro allo scoverto, non patirono alcun danno né da
detta bomba, né dalle pietre di detto muro: solamente incalcinate col timore e
spavento in eccesso.
Altre
bombe crepate in aria sotto il bastione di Santa Maria nella Cittadella, altre
crepate vicino la chiesa di San Rocco, tutte nel terreno, e molt’altre nella
città - dalla parte inferiore - dentro molte case. E per bontà Divina né dette
bombe, né molte palle di cannoni, fecero nocumento alcuno né alli paesani, né agli
soldati o ad altri. Bensì più e più case furono fracassate. Ed il peggio era
che, entrando alcuna bomba in qualche casa, nell’istante correvano molti
tudeschi, depredandola con togliere tutto il mobile, specialmente in quelle ove
non abitavano paesani, ma si retrovavano serrate. Anzi, se succedeva la
disgrazia in case abitate dalli medemi tudeschi, restavano pure - ancorché non
si retrovasse mobile - senza tetto, né tavole, né legna. E di ciò mai apparì
segno alcuno di providenza dall’officiali, tanto che se non s’avesse conosciuto
la loro integrità e l’esatta disciplina militare, sovente esercitata pure
coll’austerità dovuta verso gli soldati, si potrebbe dire che fossero stati
consentienti per effettuarsi tal preda, per non dir latrocinio evidente. Vero fu
che gli poveri cittadini e per avere stato quasi estatici, e per lo spavento di
non perder la vita, o per demostrare con evidenza quella fedeltà che nel cuore
conservavano alla Maestà Cesarea e Catolica, pacientemente soffrivano sì
continue angosce senza nemeno lamentarsi. Conoscendosi pure che avrebbero
riuscite infruttuose le loro, nonché lamentazioni e querele, l’istanze
giustificate.
Una palla di
cannone sparata dal fortino dell’Albero, urtando le mura urbiche poste lungo la
spiaggia accanto alla chiesa di Gesù e Maria la Vecchia, odierna S. Maria
Maggiore,
torna indietro uccidendo Lorenzo Maiorana, colpito alla testa mentre scaricava,
assieme ad altri pescatori, sacchi di farina destinati alle truppe austriache
Sul tardi molti marinari conducevano dal Capo con alcune barchette quantità di
sacchi di farina per servizio delle truppe tudesche, per repostarla in alcuni
magazeni deputati per tal effetto nella Marina di questa città. E, con tutto
che nel viaggio avessero venuto con dette barchette con ogni circospezione per
la ripa, affinchè non inciampassero in alcun sinistro accidente per essere
discoperti dal cannone delli nemici Spagnuoli nel fortino dell’Albero,
nondimeno, osservate le barchette, si dispararono da detto forte molte e molte
cannonate. E mentre con ogni sollecitudine gli marinari - approdate le
barchette in terra - attendevano al disbarco della farina, una palla colpì a
Lorenzo Maiorana, uno dei detti marinari (mentre teneva in collo un sacco di
detta farina), nella testa e faccia. Ed il povero di subito fu ucciso. E per
certo si vidde essere stata fatalità, perché data la palla nelle mura della Marina,
vicino la chiesa di Giesù e Maria la Vecchia, retornò indietro, con aver ucciso
al marinaro. Perloché la farina nella notte si potè repostare in magazeni.
Cinque disertori
riferiscono, tra l’altro, l’arrivo di otto nuovi cannoni da Messina per le
truppe spagnole
In detto giorno comparvero cinque desertori dal campo spagnuolo. Riferirono
aversi condotto da Messina otto cannoni da battere nuovamente fatti, con molte
provisioni di guerra. Come pure esserci scarsezza di denari, ma ogni sorte di
viveri. E ritrovarsi molt’infermi nelli luoghi deputati per ospidali, non
passando giorno che non avesse seguito la morte di più soldati ammalati.
6 aprile 1719
Giungono dal
campo spagnolo altri quattro disertori A 6 aprile. Comparvero dal campo spagnuolo
altri quattro soldati desertori. Non riferirono cosa di considerazione né
quelli del giorno antecedente, né questi volsero prendere partito. Anzi richiesero
che fossero condotti in Napoli. Ed in effetto l’istessa sera, per esservi il
passaggio di molte imbarcazioni per quella città, tutti e con altri spagnuoli
desertori furono imbarcati.
Muoiono nelle
trincee cinque soldati austriaci. Tra i feriti, uno con la gamba maciullata Fu molto
continuo il disparo delli cannoni colle bombe dal mattino sino a sera. Ed in
quella notte, per insino all’alba, si dispararono più migliara di scopetti
nelle trinciere. E di più si dispararono molti mortari di pietre così di
vicino, come da lontano. Per onde morirono di palle di schioppi e con pietre cinque
soldati tudeschi. Ed alcuni feriti. Ed uno senza gamba fracassata dell’intutto
con una pietra.
«S’intendevano
da lontano alcuni canti con bellissima armonia»: il generale Zumjungen si
riunisce in preghiera - in una giornata piovosa e sotto un tendone da campo - coi
cappellani ed altri austriaci di fede luterana sotto il Castello, nel luogo ove
erano accampate le truppe austriache In questo giorno corse la principale
festività del giovedì Santo. Perloché da tutti gli fedeli s’attese con ogni
riverenza a richiedere l’Altissimo Dio Sacramentato, come si comanda dalla
nostra Santa Chiesa Romana in memoria dell’Instituzione ineffabile del
Santissimo Sacramento dell’Altare. E per retrovarsi il signor generale
Zumjungen, comandante tedesco, luterano ed eretico, s’unì con gli suoi
cappellani dell’istessa setta, con altri molti che seguivano l’istessa eresia,
retrovandosi in questa città molti e molti eretici delle truppe tudesche. E
conferendosi assieme tutti nel Purracchito sotto il Regio Castello (ove da più
tempo si teneva armato un paviglione di campo e si retrovava alloggiato in quel
recinto il suo regimento, il quale nella maggior parte prosiegue la sua setta),
ben mattino si principiavano le loro orazioni, che continuavano per più ore. E solamente s’intendevano
da lontano alcuni canti con bellissima armonia e concerto, intercalatamente.
Precedendo il Paroco loro principale alcune note col canto, respondendo gli altri.
S’affermò da chi per curiosità o per accidente intese le loro devozioni che
molto piaceva all’udito l’armonia concertata. Bensì nessun delli paesani
azzardò ritrovarsi presente a questa funzione (con tutto che vi fosse stata proibizione per aver pure rimorso
della coscienza di vero cattolico), essendo proibito agli fedeli intervenire a
simili esercizij.
S’osservò
inoltre che nel medemo giorno, per
esservi una pioggia così eccessiva, non perciò si sovrasedette alla funzione da
detti eretici. Anzi, per esser molti e non essendo capace il paviglione per
tenerli tutti al coverto, si contentarono alcuni esclusi dell’entrata soffrire
la pioggia dalla parte di fuori. Di più, li due seguenti giorni, che furono
venerdì e sabato Santo, pure si fece il medemo congresso in detto luoco,
sentendosi il concerto col canto ben forte. Ed inoltre così per il passato,
come in avvenire, per ogni giorno di festa a lor modo si frequentavano
dall’eretici le sudette e consimili funzioni nel luogo sudetto, ritrovandosi in
città molti di detta setta ed alcuni dell’altre. E li loro cappellani andavano
senza alcun abito clericale, anzi facilmente puotevano esser differenziati
dell’altri cappellani catolici.
7 aprile 1719
Soldato catalano
diserta a nuoto all’alba. Giunge assiderato e riferisce la presenza di 14.000
militari spagnoli A
7 aprile. Su l’alba desertò dal campo spagnuolo un soldato catalano, il quale
se ne fuggì per mare, avendosi partito a nuoto per il mar di Levante, con tutto
che la notte avesse seguita una pioggia continua. Perloché venne molto
intirizzito dal freddo e quasi spirante. Raccontò che nelli Spagnuoli in detta
Piana si retrovavano 14 mila (il che allora fermamente si credette). Inoltre,
attestò aversi inviato con ogni sollecitudine nella città di Messina per
condursi più cannoni e bombe.
Malgrado
l’arrivo di diverse imbarcazioni cariche di viveri, partite da Napoli e dalla
Calabria, non si riesce a soddisfare il fabbisogno della città a causa
dell’elevato numero dei militari accampati e della difficoltà a navigare lungo
le coste controllate dagli Spagnoli Approdarono in questo Capo molte
tartane e felughe venute da Napoli e da Calabria, con aver condotto quantità di
viveri e comestibili per servizio delle truppe ed inoltre di particolari [privati, ndr] per lo smaldimento di
farine, carni, vini, galline, formaggi ed altri consimili. Bensì la città
sempre si retrovava affamata, non potendo le vettovaglie venute esser
sufficienti a pascere ed alimentare tante e tante squadre e truppe tudesche ed
altri, oltre li poveri paesani. Tanto più che era necessario venire per mare: e
tutte le volte che incontrava il vento contrario o[p]pure sequestrate
l’imbarcazioni per timore de’ corsari nemici - de’ quali sovente era infestata
tutta la costa della Calabria e del Capo di Rajsicolmo, o quello altro Capo
d’Orlando e l’Isola di Lipari, tutti dominati dalli Spagnuoli - ed anche non
retrovandosi in questi nostri mari navi inglesi, le quali servivano per fida
scorta di dette imbarcazioni, sempre si pativa in città d’ogni sorte di
comestibili.
Si diffonde tra
i civili la paura dell’assalto a
causa dell’intensificarsi dei
bombardamenti Fu così continuo il disparo di schioppi nelle trinciere col
gettito di molte pietre, per tutta la notte scorsa sin all’alba, che li poveri
cittadini furono forzati a riguardar l’evento per il timore di non seguire
alcun assalto generale, col pericolo di perder la vita, nonché la robba,
essendo stato così fervente. Che pure il rimbombo stordì à tutti. E mentre si
stava con alcun sollievo, che si conoscette non aver seguita la battaglia, principiò il disparo delli cannoni di
tutti li fortini d’una parte e l’altra colle bombe. Che persisteva sino la
sera. E, così, scampandosi un pericolo, si inciampava in un altro magiore, tanto
che tutti apparivano estatici e fuor di sensi.
8 aprile 1719
Per ordine del
generale Zumjungen, a seguito delle istanze dei cittadini, si concede, durante
il canto del Gloria nella messa di Pasqua da celebrarsi nella chiesa di
Maria SS. della Catena, di suonare a festa le campane della chiesa del Rosario
e del Duomo antico, quest’ultimo ancora adibito ad ospedale delle truppe
piemontesi. Le altre chiese adibite nel frattempo a deposito viveri e munizioni
o piuttosto dirute o messe a disposizione delle truppe tedesche. Triplo sparo
delle artiglierie della Piazza consentito dallo stesso Zumjungen, malgrado tale
generale fosse luterano
8
aprile. D’ordine del signor generale Zumiu[ngen], comandante tudesco, e del
comandante Missegla nella Piazza, a contemplazione dei poveri cittadini e colle
reiterate suppliche, s’ottenne che, nell’intuonarsi il Gloria in Excelsis Deo nella messa cantata della Resurrezione del
nostro commun Redentore, della quale si celebrava la festività in detto giorno,
si puotessero suonare le campane a trionfo, da più tempo non intese, nemeno con
un semplice tocco, per convocarsi gli fedeli nelle chiese per udir la santa
messa, stante la proibizione avuta. Sic[c]hè, ciò previsto da tutti gli paesani
per la licenza ottenuta, stavano tutti anelanti coll’aspettazione dell’hora
prefissa.
E
già venuto il tempo, s’intese non solamente il tuono di tutte le campane in
tutte quelle chiese che erano in puotere delli paesani, retrovandosi molte o
serrate col riposto di farina e provisioni di guerra o al servizio delle truppe
tudesche. O altre dirupate e senza campane. Precedendo al suono la campana de’
Padri Domenicani e susseguentemente del Duomo, con tutto che la messa cantata
si celebrasse nella chiesa di Santa Maria la Catena, per esser la Matrice in
puotere delle truppe Savojarde e di Piemonte, servendoli d’Ospedale. Anzi, nel
medemo instante, s’intese il triplicato disparo di tutte l’artegliarie nella
città per segno d’allegrezza, ciò permesso da detto signor generale Zumiungen,
con tutto che fosse stato luterano.
Proprio mentre i
Milazzesi si rallegrano per il suono delle campane, gli Spagnoli riprendono i
bombardamenti: morti otto soldati austriaci ed un soldato piemontese Si può credere
che le lagrime di tutti gli abitanti paesani furono in eccesso tanto per la
solennissima festività della Santa Resurrezione del nostro umanato Dio, come
per il suono di dette campane per più mesi mutole.
E
mentre da’ cittadini s’aveva il consuolo per detta festività, nel medemo
instante li fu intorbidato dalli Spagnuoli. Poiché questi incominciarono a
gettar in città una copiosa quantità di palle di cannoni con molte bombe,
persistendo sin la sera. Ed inoltre nelle trinciere per tutta la notte si
dispararono più migliara di scopettate col disparo di più mortari di pietre.
Perloché s’intese aver restato uccisi da palle di schioppi e con pietre otto
soldati tudeschi ed uno savoiardo, con molti feriti.
9 aprile 1719
Bomba esplode al
Borgo vicino le case di mastro Giovanni Passalacqua, causando il crollo di più
fabbricati, ma senza ferire nessuno A 9 aprile. In questo giorno il disparo
delli cannoni d’una parte e l’altra fu molto continuo. Bensì quello de’
Spagnuoli fu più fervoroso, gettandosi più e più bombe, una delle quali
pervenne sin al Borgo vicino le case di mastro Giovanni Passalacqua, dalla parte
di sotto. E, crepata, dirupò più case convicine e lontane. Il che rassembra
incredibile. E[p]pure non seguì danno alcuno nelle persone.
Altra bomba
piomba nel convento
di San Domenico senza tuttavia
esplodere. Si salvano così tutti i Padri convocati dal generale Zumjungen per
gli auguri pasquali Un’altra diede sopra il convento di San Domenico e
profondò innanzi la camera ove albergava il signor generale Zumjungen,
comandante. Ritrovandosi in quel luogo tutti gli Padri di esso convento, per
esser introdotti dal detto signor generale per complir nell’augurio di dette
feste Pascali. E avendosi precipitato la detta bomba, diede innanzi li piedi
delli Padri sudetti, quali restarono illesi [e] un puoco imbrattati di calcina
del tetto dell’intutto precipitato. Ed il miracolo fu che non crepò: che se ciò
avesse seguito, senza dubio, alcuno delli suddetti Padri avrebbe rimasto
ucciso, tanto per la strettezza del luoco, come per non avere spazio la bomba,
rompendosi, di puotere svaporare la polvere.
Danneggiata da
un’altra bomba la casa attigua a quella del sacerdote Giacomo Iaci, in
prossimità della chiesa di Maria SS. della Catena. Rimangono illesi Giuseppa
Siragusa ed alcuni soldati che si trovavano nelle vicinanze Altra bomba
scaricò vicino la chiesa di Santa Maria la Catena, innanzi la casa del
sacerdote D. Giacomo di Iaci. Fattasi in pezzi, con tutto che in detta casa,
nella quale entrò un pezzo di essa, s’avesse ritrovato la signora Donna
Giuseppa Siragosa ed Joppolo. E pure quantità di soldati posti al sole, pochi
passi distanti da dove crepò la bomba. Tutti rimasero illesi, ma si dirupò una
casa convicina.
Bombe nella
città bassa, ma non trapelano notizie, stante l’assenza di comunicazioni tra i
residenti al Borgo e quelli della stessa città bassa Altre bombe in
quantità furono gettate nella parte inferiore della città, ma, per non esservi
la communicazione delli medemi cittadini della parte di sopra e quella di sotto
il Quartiero delli Spagnuoli, nemeno si puoterono sapere. Solamente [negli]
giorni susseguenti s’intendeva alcuno speciale accidente. Perloché non si
possono con distinzione descrivere. Verità si è che non si ritrovò casa, delle
rimaste in piedi, che non avesse stata toccata o da bombe o da palle di
cannoni.
Due palle di
cannone colpiscono al Borgo, rispettivamente, la casa dell’autore del presente
manoscritto ed il convento di S. Domenico Una palla di cannone trapassò la
casa del signor Domenico Barca, nel piano di S. Domenico. Dirupò un pezzo di
muro sopra l’astraco di essa casa e corse nella casa del sacerdote Don Nicolò
La Malfa, in altra strada. E benché fosse stata piena di molti soldati
tedeschi, questi non furono danneggiati. Ma tutto il muro della casa sudetta,
dalla parte che entrò la palla, si precipitò.
Altra
palla di cannone entrò nel convento di San Domenico dal tetto, quale
dell’intutto si fracassò. Ruppe una camera e discese sin dentro la cucina del
generale Zumjungen, disfacendo pure - oltre le mura - nel precipitarsi parte di
essa cucina ed il collo della gisterna.
Nel quartiere di
S. Giacomo una bomba colpisce un magazzino. Prima dell’esplosione i militari
austriaci che vi dimoravano riescono a mettersi in salvo. Altra bomba colpisce
il tetto della chiesa di S. Giacomo, finendo poi nella spiaggetta antistante Altra bomba
diede in un magazeno di mastro Saverio Majolino, nel quartiero di San Giacomo,
nel quale commoravano aquartierate molte truppe di soldati tudeschi. E non
avendo crepato nell’instante dell’ingresso, diede campo e tempo a tutti sudetti
soldati d’uscir dal magazeno. Ma doppo, fattasi in più pezzi, restò quasi tutto
il tetto fracassato e consumato tutto il mobile che in esso esisteva. E gli
soldati evitarono l’evidente pericolo della morte, restando privi del loro
mobile, con molto spavento e terrore. Ma non per questo si provecchiarono,
almeno delli legni del magazeno, quali predati pubblicamente si venderono a loro
gusto. Avendosi sperimentato con quei che hanno dimorato in questa, poiché non
si puotè discernere se ciò procedeva per intrepidezza o pure per aver luogo,
occorrendo l’accidente, di provecciarsi dal mobile di quella casa che restava
devastata, ancorché in minima parte, almeno d’un pezzo di legno per venderlo.
Peronde la sudetta casa infallibilmente doveva precipitarsi dell’intutto.
Altra
bomba diede sopra la chiesa di San Giacomo. E rotto parte del tetto, corse alla
ripa del mare, ove crepò senza d’anno d’alcuno.
Tolte
le dette bombe, ne furono molt’altre in città, con aversi fracassato più e più
case. Ed il peggio era che, entrata la bomba in qualunque casa, restava
dell’intutto disfatta dalli soldati etiam nelli legna, asserendosi che avevano
acquistato il ius.
10 aprile 1719
La presenza durante la notte dello Zumjungen, del
Missegla e degli ufficiali nelle trincee austro-piemontesi fanno ipotizzare un
attacco
10 aprile. Certamente si credeva dover seguire attacco generale, poiché la
notte vi furono disparate bombe in quantità e schioppi da più migliara.
Magiormente che il generale Zumjungen ed il generale Missegla con tutti gli
officiali assistettero in detta notte nelle trinciere, avendosi retirato in
città la mattina ben tardi. E si seppe che nelle nostre trinciere restarono
uccisi sette soldati e più feriti.
11 aprile 1719
Tre disertori informano che nel campo spagnolo, ove
erano appena giunti 12 mortai per bombe da Messina, si lamentava penuria di
denaro, tanto che persino gli ufficiali erano in arretrato con le paghe 11 aprile. Tre
spagnuoli desertarono dal loro campo. Affermarono aver venuti da Messina nel
campo 12 mortari di bombe con quantità di esse. Esservi abbondanza di viveri,
ma scarsezza di denari, restando attrassate le paghe pure degli officiali per
più mesi. Richiesero il passaggio per Napoli. Non volsero prender partito,
ancorché li fosse stato offerto per essere giovani molto gagliardi ed avvisti.
Il ritardo nel pagamento delle truppe spagnole
causato dalla cattura - da parte delle forze navali britanniche - di un
vascello carico di denaro loro destinato. I soldati austro-piemontesi ne danno
notizia ai nemici, lanciando biglietti da una trincea all’altra, verosimilmente
allo scopo di spingere i militari spagnoli alla diserzione Si disse
publicamente che le navi inglesi avessero preso un vascello spagnuolo carico di
denari inviati per la provisione delle sue truppe, che commoravano in questo
Regno. Con esservi pure sopra detto navilio molte persone principali spagnuole.
Di più, per aversi notizia nel campo spagnuolo di detta presa di denari, s’abbiano
lanciato dalle nostre trinciere molti viglietti in quelle del nemico o con
dardi o con fronde, affinché restassero scienti di questa perdita.
Il fuoco d’una
parte e l’altra fu continuo e la notte ed il giorno, e di cannoni e di bombe e
di schioppi.
Vento impetuoso crea panico tra i cittadini Corse un
validissimo vento di scilocco in questa città che, oltre aversi dirupato più
case, precipitandosi in quelle parti che si retrovavano fracassate, con aversi
lucrato dalli tetti tutti gli canali li soldati. Pure nel Capo naufragarono
alcune imbarcazioni che si retrovavano approdate nella ripa del mare ed altre
furono costrette, per salvarsi e non pericolar dell’intutto, far gettito di
tutto quel vino che sopra esse si retrovava. Per certo, se persisteva il vento,
s’avrebbero naufragate con tutte le mercadanzie. In città, poscia, non si
poteva dar un passo, temendo ogn’uno colla furia del vento non precipitarsi,
non puotendosi resistere in piedi. E di più, per non soggiacere ad alcun
sinistro accidente o di precipitarsi sin al suolo alcuna casa, o restar offeso
dalli canali di dette case che volavano nell’aria. Si può affermativamente dire
che si credette da tutti in generale, cossì cittadini come forastieri, che
tutta la città s’avesse da subissare, poiché realmente fu molto scatenato il
vento, tanto che si reputò non esser naturale, non avendosi mai osservato un
flagello così impensato, né mai visto [segue nota che annuncia l’inizio del libro n.
13, ossia del tredicesimo gruppetto di pagine, dal quale inizia il manoscritto
originale, ndr]
12 aprile 1719
12 aprile. Gli
cannoni del nemico molto si fecero a sentire in città col disparo di molte
palle. E si gettarono molte bombe, con aversi disfatto molte case. E la notte
si viddero disparare nelle trinciere più migliara di scopettate e molti mortari
di pietre. E benché dalla città s’avesse fatto l’istesso, non perciò fu cossì
fervoroso il fuoco come quello delli Spagnuoli.
Si trasferiscono due cannoni dalla Porta del Capo a
quella di Palermo
Il generale Zumjungen, tudesco, associato da molti signori generali ed
officiali suoi nazionali, si pose a cavallo, circondando tutti gli posti,
rivedendo gli bastioni e fortini, così dentro come fuori della città. E di più
si conferì nel Capo, ove si trattenne sino a Vespro. E la sera, dalla Porta di
detto Capo, si levarono due cannoni da battere colle casse, per ritrovarsene
vicino detta porta il reposto di più cannoni, casse, ruote, palle, ed altre
provisioni di guerra. E fu necessario travagliar per tutta la notte gli
soldati, conducendo detti cannoni nella Porta di Palermo, unitamente con
l’altri ordigni militari. Tanto che nemeno gli poveri cittadini puotevano aver
quiete la notte col rumore e grido che facevano le truppe, seguendo ciò al buio
per non esser discoperte nella condotta di detti instrumenti bellici dalli
Spagnuoli.
Trasferimento di munizioni dalla cittadella
fortificata e dal Capo verso le Porte di Messina e Palermo. Falegnami al lavoro
presso le Porte del Quartiere e di Palermo per la costruzione, tra l’altro, di
ruote e casse di artiglieria Di più, nel medemo giorno si
trasportarono tanto dalla Cittadella, come da detto Capo, molte e molte bombe
con granati reali alli fortini, nelle porte di Messina e di Palermo. Di più, in
detto giorno, molto travagliarono tutti li maestri di legname nella Porta del
Quartiero nominato delli Spagnuoli ed in quella di Palermo, unitamente con
altri maestri tudeschi, facendosi e ruote e casse di cannoni, e palaccioni et
altri ordigni di guerra. Il che da più giorni innanzi s’aveva adoprato con aver
continuato per insino che si tolse l’assedio dalli Spagnuoli colla loro
partenza dalla Piana [tale frase è la
prova evidente che il manoscritto del Barca fu scritto ad assedio concluso,
ndr].
Di più,
guagliardamente s’attese dalle truppe a formarsi le fascine atte per farsi
trinciere così dentro le porte, come di fuori. E nelle mura. Sopra che non si
trascurava atomo di tempo, anzi facendosi molti ripari, fossate e terrapieni.
Oltre di quelli che prima esistevano.
Si costruisce dalle truppe una strada per condurre
artiglierie da una delle calette del Promontorio sino alla Porta del Capo. Di
essa - molto panoramica - se ne giovano ovviamente anche i cittadini. Per la
sua costruzione espropriate strisce di terreno con diversi filari di vite. Di più, per
avere stato molto fatigoso lo trasporto e di cannoni, casse, ruote, bombe,
palle, fascine, legnami, tavole ed altri consimili dalla ripa del mare nel
Capo, per essere molto montuosa e scozzese [scoscesa,
ndr] la strada, da più tempo innanzi s’aveva principiato a formarsi una via
adaggiata da detta ripa per insino alla Porta del Capo, di longhezza d’un
miglio e mezzo. Per la quale non solamente si conducevano detti cannoni ed
altri, ma pure con ogni faciltà potevano scendere e salire due e tre carrette
guidate da cavalli cariche di palle, bombe, polveri ed altri, come pure farine,
commestibili e vini ed altri. Con aversi fatto la sudetta strada con molti giri
e rivolte, non puotendosi con altro modo aversi l’intento, stante che oltre li
dirupi che esistevano per condursi alla Marina, pure detta ripa era molto bassa
e si doveva salire alla parte di sopra sempre ascendendo. E ciò nonostante,
colla fatiga di più truppe e con zappe, si fece sudetta strada, per la quale
pure si potevano condurre le carrozze al passeggio. Per certo che,
osservandosi, appareva molto deliciosa, appagandosi l’occhio con tal veduta. Ma
non si può descrivere poscia l’afflizione di tutti quegli cittadini, li quali
tenevano le loro vigne e stabili nel luogo che si construsse questa bella
strada. Poiché fu vuopo togliersi le vigne che in essa si ritrovavano,
tagliandosi tutti l’alberi, ancorché fruttiferi, che impedivano la via della
longhezza già espressata. E larga più di passi diece. E si può ancora
reflettere il maleficio avvenne alle vigne che esistevano all’intorno della strada
sudetta, di continuo calpestrate dalla cavalleria, oltre dell’innumerabile
quantità e delle truppe e delli forastieri che approdavano in detto Capo. E di
più di tutti gli paesani, li quali erano forzati in ogni modo conferirsi in
detto scaro per farsi provisione per magnare, valendo gli viveri in città quasi
al doppio, venduti da mercenarij per lucrarsi a suo modo. Quello si vidde nel
corso della guerra non è credibile. E sembra molto stravagante: solamente chi
l’osservò può ridirlo, ma non si può descrivere con ogni specialità.
13 aprile 1719
Sei morti nelle trincee 13 aprile. In
questo giorno fu spaventevole il disparo delli cannoni delli nemici spagnuoli,
non rallentando alcuno breve spazio di tempo. Ma continuando dal mattino sino
la sera, assieme col gettito di molte bombe. E la notte nelle trinciere si
dispararono in quantità le scopettate e si buttarono molte pietre, tanto che
restarono morti cinque soldati ed un tenente tudesco. Ed un caporale perdette
una gamba troncatali d’una pietra. E molt’altri soldati feriti.
14 aprile 1719
Una bomba danneggia la scalinata in pietra da taglio
della chiesa di San Gaetano al Borgo 14 aprile. Al solito fu continuo il
fuoco delli cannoni disparati col gettito di più bombe nella città. Una delle
quali si ruppe sopra la scalonata della chiesa di Santa Maria la Catena,
fracassando tutte le pietre d’intaglio di detta scalonata. E con tutto che le
dette pietre s’avessero inalzato in aria con parte di detta bomba in pezzi e
doppo precipitate in più luoghi nel suolo, non vi fu danno d’alcuna persona.
Solamente un pezzo di detta bomba entrò nella casa di maestro Papino Composto,
ruppe il tetto e quegli che abitavano in essa restarono illesi.
Vascello misterioso si avvicina alla cala dell’Oliva
al Capo, ove si trovavano diversi cannoni Entrò in questo porto a vele
piene, correndo un vento gagliardo da libeccio, vicino lo Scaro dell’Oliva nel
Capo, un vascello con l’arme di Francia. O fosse stato per non farsi a
conoscere o per altro suo fine, ammainò le vele nel detto scaro, nel quale si
ritrovavano molti cannoni alla ripa del mare. E nel medemo tempo, o per astuzia
e sagacità o forzato dal vento, di nuovo inalberò le vele et entrò un puoco
distante da detto Porto. E finalmente fece alto nella ripa a dirimpetto della
città, sotto il cannone delli Spagnuoli. Osservandosi da tutti in questa che
gettò lo schifo [piccola imbarcazione di
servizio, a remi, in uso sui mercantili, ndr] in quella ripa e non si ebbe
notizia di qual nazione fosse stato il navilio.
Ancora morti tra gli austro-piemonesi La notte scorsa
si dispararono nelle trinciere molte e molte scopettate, come pure molti
mortari di pietre. Perloché restarono delle nostre truppe tre soldati tudeschi
uccisi da palle di schioppi. E molti altri gravemente feriti.
15 aprile 1719
Nelle trincee si cominciano a caricare i mortai
anche con granate e palle di moschetto 15 aprile. In detto giorno non cessarono
le palle di cannone e le bombe gettate nella povera città. Perloché molte case
restarono demolite. E la notte si continuò il fuoco delli schioppi nelle
trinciere, gettandosi molte pietre. Anzi, si principiarono a disparare mortari
pieni di palle di moschetti ed altri di granati per magiormente offendere le
nostre truppe. Perloché tra l’uccisi e tra li feriti si numerarono diece
soldati. Ed il peggio era che gli remasti feriti difficilmente si puotevano
guarire o per mancanza di cura e di medicamenti o per quello che si vociferava,
[ossia] che le palle delli schioppi erano avvelenate o almeno tagliate per
apportar più danno.
Bomba demolisce casa del Borgo posta accanto al
convento dei Domenicani: muore Maria Basile, seppellita nella chiesa del
Rosario
Tra l’altre bombe nel Borgo disparate, tra le quali molte creparono nell’aria
ed altre in luogo aperto, una entrò in uno astraco della casa delle figlie del
fu maestro Salvadore Basile, posta a lato del convento di San Domenico. Nel
quale astraco si ritrovava Maria, una di dette figlie. Perloché, crepata la
detta bomba, diede nella testa della sudetta di Basile con averla uccisa. E nel
medemo tempo fu condotta la poveretta nella chiesa di detto convento per sepellirsi,
restando tutta sudetta casa demolita, con la maggior parte del mobile
abbruggiata. E l’altre due sorelle dell’uccisa, tutte spaventate, piene di
calcina e pietre che si precipitarono. Anzi colla perdita di molto mobile pure
rubbato dalli soldati.
Bomba danneggia l’Oratorio di S. Filippo Neri,
causando la morte del fratello Pietro Greco da Monforte Altra bomba
entrò dal tetto nella cucina del Venerabile Oratorio de’ Padri di San Filippo
Nerio, retirati nella chiesa di Giesù e Maria la Nuova. Retrovandosi nella
detta cucina il fratello Pietro Greco di Monforte, che cucinava per li sudetti
Padri, e crepata la bomba, [questa] ferì nel petto al sudetto di Greco, con
averli fatto uscire l’interiora. Perloché nell’instante restò ucciso, avendosi
dell’intutto distrutta la camera con la maggior parte dell’Oratorio.
Scoramento dei Milazzesi che auspicavano persino una
sconfitta del proprio esercito purché fosse restituita loro la pace In questo
giorno apportò così grande spavento e terrore a tutti li cittadini ed abitatori
nella città per vedersi di punto in punto colla morte innanzi gli occhi ed
inoltre privi di tutto il loro mobile abbruggiato dalle palle e bombe. E la
maggior parte assassinato dagli soldati ed altro preso d’alcuni officiali per
forza. E di più di tutte le loro case sfabricate e demolite ed assassinate pure
d’alcuni loro parenti ed amici, nonché dalli soldati. Che, non avendo [i
cittadini] più sentimenti, rassembravano nonché estatici, spiranti per il
grandissimo cordoglio [che] sentivano. Non sapendo come deportarsi, ora davano
nelle smanie gridando nell’assemblee allo sproposito, ora lacrimando le loro
miserie per non aver più formalità di costentarsi come prima, ora proponendo di
retirarsi per evitare la morte senza sapere in qual luogo; ed ora dandosi
nell’imprecazioni, sparlando contro chi non entrava forse nelle loro
afflizioni. Ed il peggio era che sormontavano e nell’animo, e nel corpo loro,
l’angustie, non apparendo alcun modo di togliersi almeno in minima parte tanti
travagli [se non] con la pace universale, conforme più volte alla sfuggita si
figurava d’alcuni. Perché la bramavano o col discacciamento delli Spagnuoli,
togliendosi l’assedio di essi con farsi la battaglia dalle nostre truppe; o
infine coll’assalto dalli nemici spagnuoli alla città. O per vincere o restar
vinti, affinché s’avesse qualche respiro. Ognuno la discorreva a suo capriccio,
solo per esser esente da tanti e tanti crucij, dolori, tormenti e pertubazioni
che giornalmente si soffrivano. Discorrendosi, di più, che le nostre truppe per
esser superiori così nel numero, come nell’intrepidezza e disciplina militare,
da quelle nemiche, facilmente dando l’assalto l’avrebbero fugato. Nondimeno
dalli più prudenti si refletteva che il signor Generale Zumjungen (comandante
tudesco, quale teneva tutto il dispotico nella predetta guerra) aver imparato -
per esser da più anni consumato nell’altri conflitti guerrieri - che a quello
che riceve l’assalti il soffrire è il rimedio più giovevole. Attendendo a
defendersi dentro agli proprij confini, stimava a vittoria il ributtare il
nemico. Anzi, stimando più la morte d’un solo suo soldato che di più nemici,
non voleva avventurare le sue truppe che in evidente guadagno. Colla speme che
tenendosi lungamente a bada il nemico, o quello avrebbe avvertito a retirarsi o
avrebbe a se stesso dato occasione di vincerlo.
16 aprile 1719
16 aprile. Non
si da relazione in detto giorno del disparo de’ cannoni e gettito di bombe
continuamente dal mattino sino la sera. Come pure delli mortari con pietre e
granati nelle trinciere per tutta la notte sino all’alba. Stanteché con tante
palle e bombe nella città non successe danno alcuno contra le persone.
Solamente si disfecero molte case o in parte o in tutto. Delché dalli poveri
cittadini non si teneva più cura, attendendosi alla conservazione della propria
vita.
La crudele - ma necessaria - flagellazione riservata
al militare che commetteva furti ai danni dei superiori: il condannato avrebbe
dovuto camminare seminudo, per ben tre volte, tra due file parallele di
soldati, ciascuno dei quali lo avrebbe percosso con una verga in mano S’osservò per
tutto il tempo che persistette la guerra in questa città - con l’assedio delli
Spagnuoli e con la guernizione delle truppe tudesche per defensione della
medema - non esservi giorno che non avesse seguito alcun latrocinio fatto dalli
soldati, specialmente di arnesi di casa, mobili, superlettili, vestimenti o
altre robbe consimili. E benché s’avessero fatto replicate instanze agli
officiali maggiori per darsi il rimedio conveniente, mai si potè alcanzare [conseguire, ottenere, ndr] cosa
profittevole. E pure alle volte - bensì di rado - si venne a tenersi conseglio
di guerra contro alcuni soldati che rubbavano superlettili delli loro
officiali. Come seguì in questo giorno contro tre soldati, per essere stati
convinti d’avere preso pochi mobili d’un loro capitano tudesco. Concorrendo
molti voti contro li sudetti soldati pure al supplicio della morte. Ma, quasi
per speciale grazia, il principale fu condannato ad essere preso con bacchette
di tutti l’altri soldati per tre volte continuamente. E l’altri due, meno
delinquenti, che fossero condotti pure al luogo deputato per soffrire la medema
pena. Ma doppo, sospendendosi tal castigo, dovessero per mese uno continuo
caminar colle catene a’ piedi e col travaglio alle trinciere per molti giorni,
dovendo pure star sequestrati per sempre sino che s’effettuava la condanna nel
quartiero.
Il prendersi a
bacchette alcun soldato si costumava con molto rigore. Poiché, approntati molti
fasci di verghe sottili verdi o di granatari [albero di melograno, ndr], o altro albero consimile, si radunavano
da cinquanta o più o meno soldati in un piano, tenendo ogn’uno di essi una di
dette bacchette nella mano. E destendendosi uno appresso l’altro con farsi due
linee consimili dalla parte di sopra e di sotto, si conduceva il condannato. E,
denudati il petto e le reni, era posto in mezzo delli sudetti soldati, dalli
quali era battuto con dette verghe, con essere tenuto correndo soffrire il
triplicato battimento d’un capo sino all’altro di dette linee. Tolto se per
grazia del maggiore del regimento, o altro ufficiale che assisteva a tal
castigo, non s’avesse alleviato la pena colla metà o terza parte delle
battiture. E, finita la spietata, per non dir barbara, flagellazione, restava
il povero soldato semivivo e quasi spirante, per farsi tutto il suo corpo dalla
parte superiore pieno di lividiere, sbucciando sangue. E così era condotto al
quartiero, ove si salassava, cingendosi con lo spirito di vino o altro
medicamento.
Per certo è una
crudeltà da non riguardarsi, poiché è molto rapida l’azzione. E pure
s’attestava esser necessario adoprarsi, anzi più. Altrimente non persisterebbe
la disciplina militare, non usandosi gli rigori dovuti.